Consigli scrittori

MARNIE CAMPAGNARO:

I CONSIGLI

Intervista a Marnie Campagnaro, membro della giuria e docente di Teoria e Storia della Letteratura per l’infanzia e della Biblioteca nel Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione e della Formazione presso l’Università degli Studi di Padova.

“Chi scrive per l’infanzia non fa una scelta di pubblico, ma una scelta di tono” sottolineava Toti Scialoja. Credo che questa affermazione sorregga un fondamentale aspetto della letteratura per ragazzi: la qualità della scrittura. Non è così infrequente imbattersi in storie coinvolgenti, ma, quando capita, si avverte un certo sollievo nello scoprire che la trama è sostenuta anche da una scrittura scrupolosa, accurata e avvolgente.

Quando si scrive una storia? Asseriva Virginia Wolf: “Quanto al mio prossimo libro, mi impedirò di scrivere fino a che non ne senta l’urgenza in me: fino a che non crescerà nella mia mente come una pera matura; pendula, pregna, che chiede di essere colta per non cadere”. È un buon proposito anche per chi si cimenta con la letteratura per l’infanzia: si scrive quando si ha l’impellenza di dire qualcosa e la maturità, non necessariamente anagrafica, di saperla raccontare.

Mi è stato chiesto di dare alcuni consigli di scrittura ai partecipanti del Premio Nazionale di Letteratura per l’Infanzia “Arpalice Cuman Pertile”. Che compito gravoso e ingrato! Sempre la Woolf metteva in guardia il malcapitato, asserendo che: “L’unico consiglio che una persona può dare a un’altra in merito alla lettura [e alla scrittura] è, in verità, quello di non accettare consigli”. Meglio non illudersi, dunque. Pertanto, per salvaguardarmi, mi prendo solo l’onere di segnalare qualche accortezza, attinta, peraltro, con un profondo senso di gratitudine, alla straordinaria prolusione al Nobel di Josif Aleksandrovic Brodskij.

Prima accortezza: osservare le stelle. Quali stelle amiamo guardare e ammirare con maggiore insistenza? La domanda è un invito a ricercare, ciascuno in proprio, le sorgenti di luce più luminose, ovvero, quegli autori e quelle opere che illuminano il nostro modo di guardare e di descrivere il mondo. Ci sono, infatti, libri, che letti una volta, ci serviranno per il resto della nostra invita, nella speranza che, se si impara a leggere, forse c’è pure speranza di imparare a scrivere.

Seconda accortezza: ritrarre visi non comuni. La lettura ci salva da altre trappole insidiosissime come lo scadere in luoghi comuni o la riproduzione di immaginari stantii e rinsecchiti. Chi scrive per l’infanzia si interroga con sincerità su chi sono i bambini. Per farlo una buona strategia è “ripensarsi bambini”, sosteneva Gianfranco Zavelloni: non è così difficile averne memoria ed è lì che sarebbe opportuno poter sostare. L’ingannevole proposito di ritrarre i bambini, inzaccherando le storie con diminutivi, vezzeggiativi e ingentilimenti, non produce ritratti d’infanzia. Li distrugge, perché ne offre un’immagine svilente e compiutamente inautentica.

Terza accortezza: fuggire dalle ripetizioni. L’arte in generale, e la letteratura in particolare aborriscono la ripetizione. Nella vita di tutti i giorni si può dire la stessa battuta per tre volte, ma non nell’arte: sono cliché da cui è bene rifuggire. È salutare, pertanto, interrogarsi, con una certa assiduità, sull’uso di un determinato predicato, avverbio o aggettivo. Forse, ancora più proficuo, è tenere accanto a sé la lista dei propri “déjà vu”.

Quarta accortezza: costruire conversazioni intime. Le storie, anche quelle per i ragazzi, hanno maggiore forza se sono in grado di costruire atmosfere calde, se hanno la capacità di produrre gradi elevati di intimità con il lettore. Un racconto non è un monologo, ma una conversazione molto privata con il lettore, una conversazione fatta di confidenze intimissime: segreti, bugie, tradimenti e pensieri sapientemente occultati ai coprotagonisti di una storia, ma non al proprio attento e fedele lettore.

Quinta accortezza: essere guardiani del faro linguistico. Quando si intreccia una trama o si tesse una poesia, sarebbe opportuno interrogarsi sul perché di questa impellenza. In genere, ad esempio, chi scrive una poesia, ha il desiderio di esprimere un atteggiamento verso la realtà che lo circonda, verso un paesaggio o uno stato emotivo interiore; scrive per conquistare il cuore dell’amata (o dell’amato), o per catturare lo stato d’animo di un determinato istante. O infine, scrive per lasciare una traccia sulla terra, come i sassolini disseminati da Pollicino lunga la via per il bosco. Qualunque sia la ragione, questa impellenza ci spinge ad entrare in contatto con la nostra lingua. La poesia non è né una forma di intrattenimento né una forma d’arte: è il nostro “faro linguistico evolutivo”. Una visione falsata vorrebbe vedere nella letteratura “la lingua del popolo”. Ma le cose non stanno esattamente così, almeno non sempre: non è il poeta che dovrebbe utilizzare “il linguaggio della strada, la lingua della folla”, ma è la folla che dovrebbe attingere al linguaggio del poeta, per il quale, vale la pena di ricordarlo, i migliori amici sono spesso i sostantivi: tant’è vero che se la rima fra sostantivi è ammessa, tra i verbi è da evitare e tra gli aggettivi dovrebbe diventare addirittura tabù.

Chi scrive per l’infanzia non è interessato a produrre piacevoli effetti sonori.

Chi scrive per l’infanzia ha a cuore il contagio emozionale e semantico di chi legge e di chi ascolta.

INTERVISTA A LUIGI DAL CIN

Intervista a Luigi Dal Cin, scrittore e vincitore del Premio Marostica Città di Fiabe 1996.

Il Premio Marostica Città di Fiabe, vinto nel 1996 con L’albero musicale, è stato il primo riconoscimento che abbia mai ricevuto come autore per ragazzi, ed è stato, per me, un importante incoraggiamento.

Quali sono le domande dei bambini lettori?

Ero molto teso al primo incontro con i miei lettori bambini.
Mi ero preparato.
Avevo ripassato tutto sulla letteratura per ragazzi.
In quel primo incontro, il primo bambino che alza la mano mi chiede: “Posso farti una domanda sul tuo libro?”, “Certo…” dico io, “Come hai fatto ad incollare le pagine?”.

Un’altra domanda è: “Come fai a scrivere così bene?”. Ovviamente il riferimento non è allo stile, ma ai caratteri di stampa. L’ho capito quando una volta un bambino ha aggiunto: “Sì, sembra fotocopiato”.

Su queste ultime domande di solito riesco a cavarmela. “Perché scrivi libri?” invece è una questione più complessa.

Che differenza c’è tra un libro scritto per ragazzi e uno scritto per adulti?

Quando si scrive un libro, si dice di solito, lo si fa per esprimersi e per comunicare.
Io preferisco dire che scrivo per: dire la verità (le mie scoperte, i miei sogni, bisogni, speranze, desideri, paure… soprattutto speranze) attraverso l’invenzione, e per comunicarla.
Sembra un paradosso pensare di dire la verità attraverso un’invenzione, eppure è proprio il modo dei bambini quando per spiegare la realtà inventano delle storie.
Poi c’è l’altro polo: la comunicazione. Se non ci fosse questo desiderio di comunicare lo scrittore terrebbe il manoscritto nel cassetto e non lo farebbe leggere, tanto meno gli verrebbe l’idea di pubblicarlo.
Ecco: quando si scrive per i bambini, il tutto va ancora più attentamente spostato verso la comunicazione: anche nei momenti più ispirati, lo scrittore per ragazzi non può prescindere dal suo lettore.

Come fa un adulto a scrivere per i bambini?

“C’è bisogno di un aiutante magico”: questo rispondo ai miei lettori bambini quando mi chiedono come fa un adulto a scrivere per ragazzi.
La Penna bambina è uno strumento che sta dalla parte dei bambini e che consente allo scrittore adulto di esprimere il pensiero e il linguaggio adulto in una lingua non più parlata con gli altri adulti, ma mai dimenticata: la lingua dei bambini. E attenzione: non si tratta solo di saper utilizzare vocaboli comprensibili ai bambini. Si tratta soprattutto di toni, di capacità nel creare corrispondenze tra il testo e ciò che il lettore bambino vive, di sapersi, insomma, mettere al suo fianco.

Credo che se siamo convinti che il bambino che ci sta di fronte ha la dignità di una persona, con i suoi desideri profondi e le sue individuali caratteristiche e le sue specifiche aspirazioni, e se siamo convinti che il nostro compito non sia altro che quello di aiutare il bambino a far emergere i suoi desideri profondi e di aiutarlo a sviluppare le sue individuali caratteristiche e le sue specifiche aspirazioni, di aiutarlo a trovare la sua strada con rispetto, ecco: se partiamo da questo, penso che la maggior parte degli errori che possiamo fare nei confronti di un bambino – come scrittori, insegnanti, educatori, genitori – vengano già evitati alla sorgente.
Se coltiviamo questa convinzione è dunque più facile che la magica Penna bambina si riveli proprio a noi.

Qual è la differenza tra scrivere per sé e scrivere per un lettore?

È chiaro: si può anche scrivere per sé stessi. Come si può canticchiare sotto la doccia.

In tal caso non c’è bisogno di porsi particolari questioni sugli effetti fascinanti da creare in un lettore diverso da sé, né porsi ulteriori problemi di tecnica, di efficacia o di comunicazione.
Ma se invece voglio cantare per un pubblico che è disposto ad ascoltarmi in un teatro, allora le cose cambiano.

Ecco: se voglio scrivere un libro per ragazzi devo essere efficace nella mia comunicazione, che va pertanto modulata sul mio lettore e non più solo su di me.

Come comunicare allora con un lettore bambino?

Qui si entra nel mondo seducente delle tecniche di scrittura, dell’invenzione, della costruzione della trama, della caratterizzazione dei personaggi, della ricerca del linguaggio, della costruzione delle descrizioni, dei dialoghi…
Da questo punto di vista scrivere per ragazzi ha esattamente le stesse difficoltà tecniche dello scrivere per un lettore adulto: deve saper creare lo stesso fascino in chi legge.

C’è davvero bisogno della tecnica nella scrittura?

Credo che per scrivere un buon libro sia necessario essere quanto più possibile consapevoli delle modalità fascinanti da mettere in atto e degli effetti che voglio ottenere sul mio lettore.
In un testo, infatti, si ottengono effetti completamente diversi se si usa, ad esempio, una narrazione in prima persona o in terza, se si usa un tempo verbale invece di un altro, se si usa un discorso diretto o un indiretto, o un indiretto libero, se in una descrizione o in un dialogo si riporta un particolare invece di un altro, e così via. Chi vuole creare un buon testo deve essere cosciente quanto più possibile degli effetti che vuole ottenere in chi legge.
Credo che lo scrittore debba avere delle motivazioni consapevoli per ogni scelta che fa sul testo. Più ci sono queste motivazioni nello scrittore, più il testo sarà convincente ed efficace; minore è la consapevolezza, maggiore sarà il ruolo lasciato al caso.
Poi il lettore in generale non saprà dire perché il testo gli è piaciuto: non importa, lo scrittore ne sarà comunque felice.

Ci parli di tecnica e immaginazione.

Poi, oltre alla tecnica, ci vuole fantasia. Più precisamente, per scrivere un testo narrativo credo ci voglia immaginazione, ossia la capacità di inventare un mondo coerente.
Esercitare un’invenzione completa: questo consiglierei a un insegnante o a un alunno che vuole scrivere. Nella stragrande maggioranza, quando qualcuno mi dice: ‘Faccio fatica a scrivere’ a ben vedere non si tratta di un problema attinente alla scrittura, ma piuttosto all’invenzione.

Cosa intende per invenzione completa?

Trovo che senza aver davvero maturato un’invenzione si faccia molta fatica a scrivere, o ad un certo punto ci si blocchi, o si scriva senza fascino. Credo sia molto più fecondo (e ben più avvincente) attendere di far maturare nella propria mente la storia in modo completo, quanto più completo possibile, annotando le soluzioni narrative che via via emergono: tutto questo prima di cominciare a scrivere davvero. Perché se si comincia a scrivere subito, ecco che limitiamo da soli la nostra immaginazione.
(…) La situazione ideale credo sia questa: quando la narrazione è ormai così completamente immaginata che possiamo sederci a scriverla come sotto dettatura.

Senz’essere inutilmente radicali, credo che possiamo tenere per buona questa regola di comportamento:
1. non precipitarsi a scrivere ogni volta che ci viene in mente qualcosa di apparentemente buono;
2. distinguere il tempo dedicato all’immaginazione dal tempo dedicato alla scrittura;
3. non pensare che la prima soluzione che troviamo sia necessariamente la soluzione migliore.

Ritiene importante l’osservazione?

Ancor prima, l’azione volontaria più importante da esercitare per favorire l’invenzione è l’osservazione. Perché è dall’osservazione che nascono le scintille dell’ispirazione.
Penso che scrivere richieda sempre uno sguardo stupito, come fosse la prima volta che si vede ciò di cui si sta scrivendo.

Come vengono scelti gli illustratori dei suoi libri?

In base al tono del testo, vengono concordati con l’editore.
Se c’è una medesima sensibilità e professionalità nell’autore e nell’illustratore, il libro illustrato diventerà molto più di un semplice accostamento tra testo e illustrazioni: il suo valore sarà dato dalla loro sinergia. Il testo dovrà essere scritto prevedendo fin dal principio che sarà illustrato: dovrà lasciare degli spazi immaginativi autonomi per l’illustratore, e delle pieghe narrative non del tutto svelate da cui l’illustratore può partire per il suo percorso.

il personaggio misterioso

…IL PERSONAGGIO MISTERIOSO…

“Il Premio Città di Marostica, vinto nel 1996 con L’albero musicale, è stato il primo riconoscimento che abbia mai ricevuto come autore per ragazzi, ed è stato, per me, un importante incoraggiamento.”

Siete curiosi di sapere di chi stiamo parlando?
Presto pubblicheremo l’intervista completa…e nell’attesa non dimenticate di inviarci le vostre opere!

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CONSIGLI DALLA GIURIA

Marnie Campagnaro ci racconta i segreti di un buon racconto! Scopriamoli assieme!

virgolette

VIRGOLETTE

Le virgolette possono essere basse «» (caporali o all’italiana), alte “ ” (all’inglese), oppure singole ‘’ (apici). A prescindere dal Paese è bene ricordare che nonostante molti si ingarbuglino nell’utilizzo di queste tre varianti, in realtà non esistono regole precise. In generale possiamo dire che le virgolette possono avere la funzione di:
•    aprire un discorso diretto (Maria disse: «Mi passi lo zucchero?»);
•    riportare una citazione letterale (Coelho ha affermato: «A questo mondo nulla accade per caso»);
•    delimitare un termine inteso in senso ironico o distaccato o una traduzione di un termine già in lingua originale (Maria mi ha detto che siete “fidanzati” – Il verbo essere in inglese si traduce “to be”);
•    racchiudere il nome di riviste, quotidiani o il nome proprio di mezzi di trasporto, titoli di libri o programmi (Ho acquistato “la Repubblica” – Il “Titanic” è partito nel 1912);
•    mettere in rilievo voci dialettali o neologismi, termini gergali o stranieri non di uso quotidiano, anche se spesso è possibile utilizzare il corsivo (Queste verdure si chiamano ‘friarielli’).
La punteggiatura va sempre all’esterno delle virgolette a meno che non si tratti di un periodo concluso (Carlo mi chiese: «Sei sicuro?») .
Nel caso di inclusioni di virgolette all’interno di altri virgolettati la gerarchia vuole che i caporali siano seguiti dalle virgolette alte e successivamente dagli apici. Carlo scrisse: «Maria guardò l’uscio, poi urlò: “Aiuto! Gli ‘amici’ voglion farmi del male”».

parentesi

PARENTESI

Le parentesi nella grammatica italiana sono essenzialmente di tre tipi: le tonde, le quadre e le graffe, anche se quest’ultime sono rarissimamente utilizzate nel testo a sostituzione delle prime due.
Le parentesi tonde hanno diverse funzioni:
1    Possono sostituire le virgole o i trattini brevi negli incisi; Carla (come ti dicevo) è molto socievole
2    Precisano informazioni ulteriori riguardanti il testo, come la data di nascita e di morte di uno scrittore; Carla Fracci (20 agosto 1936) è molto socievole.
3    Possono indicare pensieri sottintesi sotto forma di periodi indipendenti; Carla ti cercherò. (Ho il tuo indirizzo sull’agenda). Non è un addio.
4    Possono racchiudere le apposizioni; Carla (amica di Sonia) è molto socievole.
5    Racchiudono il nome dell’autore alla fine della citazione.Quel ramo del lago di Como… (A.Manzoni)

Le parentesi quadre:
1    Precisano informazioni ulteriori sul testo da parte dell’autore o dell’editore, soprattutto nella saggistica, date di nascita e di morte, collocazioni editoriali ecc.;
2    Indicano l’esatta pronuncia di una parola, specialmente nei dizionari;
3    Nei testi molto antichi racchiudono parole mancanti nel manoscritto originale.

Prima della parentesi d’apertura va sempre uno spazio bianco, così come dopo la parentesi di chiusura.

puntini

PUNTINI DI SOSPENSIONE

I puntini di sospensione sono i più difficili da trattare e spesso ne viene fatto un uso sproporzionato e diffusamente errato. Prima di tutto bisogna stabilire che i punti sospensivi sono solamente tre, non uno in meno, non uno di più. Bisogna poi ricordare che dopo i tre puntini non va mai la lettera maiuscola a meno che si concluda il periodo. Terza cosa importante: dopo (e non prima) i tre punti bisogna sempre lasciare uno spazio, tranne quando sono seguiti dal punto esclamativo o interrogativo o dalla chiusura di virgolette o parentesi. Questi piccoli segni grafici indicano l’interruzione di un discorso che scema, anche visivamente, in essi. La pausa può indicare diversi concetti: titubanza, dubbio, insinuazione, paura, evasione, inganno, affanno. Quando si parla di sospensione si può intendere anche suspense, attesa di un accostamento insolito. Troviamo i puntini sospensivi alla fine di un elenco che potrebbe potenzialmente continuare, a sostituire la parola “eccetera”. Infine, i tre puntini, se racchiusi tra due parentesi quadre […] o tonde (…), indicano una parte mancante rispetto all’originale nelle citazioni.

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PUNTO ESCLAMATIVO

Il punto esclamativo segue le frasi esclamative e spesso anche le interiezioni (ahi! Mi hai fatto male!) È possibile, a volte, trovare il punto interrogativo e quello esclamativo insieme per esprimere una forte sorpresa (Cosa ci fai tu qui?!).
Talvolta troviamo invece due o più punti interrogativi o esclamativi per enfatizzare il dubbio o l’espressione. È questo un uso assai diffuso che prende vita dal fumetto, dove la necessità di caratterizzare il personaggio passa attraverso onomatopeiche e segni grafici forti. Con la messaggistica istantanea ha poi trovato la sua consacrazione. Nella maggior parte dei testi, siano essi romanzi, saggi o scritti di praticità quotidiana, è bene non abusare di questi segni perché hanno un impatto molto forte sia a livello visivo sia nella lettura e potrebbero facilmente stancare o confondere il lettore.

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PUNTO INTERROGATIVO

Il punto interrogativo è un segno di punteggiatura abbastanza semplice e intuitivo:
-Lo troviamo nelle domande, siano esse espressione di un dubbio o di una richiesta (posso aprire la porta? Qual era il nome di Manzoni? Era giallo o nero?).
-Può indicare sarcasmo e sospetto se racchiuso tra due parentesi tonde.
Mi hanno detto che hai eseguito tutti i compiti alla perfezione (?)
-Negli incisi è possibile scegliere se utilizzare o meno il punto interrogativo.
Mercoledì prossimo, chissà perché?, verranno i miei zii.
Mercoledì prossimo, chissà perché, verranno i miei zii.

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DUE PUNTI

I due punti hanno un ruolo molto importante nell’ortografia della lingua italiana. In maniera molto sintetica essi chiarificano ed espongono il senso di un’affermazione.
-Possono aprire il discorso diretto: Carlo mi disse: “Sei sicuro di star bene?”
-Chiarire l’affermazione precedente: Volevo rimanere solo: ero triste
-Precedere un elenco: Ho preso quattro ombrelli: uno blu, uno rosso, due verdi.
Non dimentichiamo, come si può notare sopra, che essi hanno anche la funzione di introdurre un esempio.

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PUNTO E VIRGOLA

É oggi molto poco utilizzato. Rispetto alla virgola indica una pausa leggermente più lunga nella lettura e un distacco più netto tra le parti del discorso. In realtà essa ha una funzione sintattica molto importante in quanto è in grado di dare al lettore l’impressione visiva di una separazione nella forma e di chiarire il senso della frase quando sono presenti già tante virgole, come nelle enumerazioni molto lunghe o per punti. Consigliabile il suo utilizzo quando cambia il soggetto della frase e in presenza di avversative con valore forte. (Giovanna beveva l’acqua; Carlo mangiava la pasta; la mamma cantava una canzone. Non voglio più rimanere; tuttavia, credo che tu mi voglia qui con te).

virgole

LA VIRGOLA

La virgola indica una pausa breve ed è il segno più versatile.

Si usa: negli elenchi di nomi o aggettivi, negli incisi (si può omettere, ma se si decide di usarla va sia prima sia dopo l’inciso); dopo un’apposizione o un vocativo e anche prima di quest’ultimo se non è in apertura di frase (Roma, la capitale d’Italia. Non correre, Marco, che cadi). Nel periodo si usa per segnalare frasi coordinate per asindeto (senza congiunzione, es: studiavo poco, non seguivo le lezioni, stavo sempre a spasso, insomma ero davvero svogliato), per separare dalla principale frasi coordinate introdotte da anzi, ma, però, tuttavia e diverse subordinate (relative esplicative, temporali, concessive, ipotetiche, non le completive e le interrogative indirette).

La virgola non si mette: tra soggetto e verbo; tra verbo e complemento oggetto; tra il verbo essere e l’aggettivo o il nome che lo accompagni nel predicato nominale; tra un nome e il suo aggettivo.

PUNTO

IL PUNTO

Il punto si usa per indicare una pausa forte che segnali un cambio di argomento o l’aggiunta di informazioni di altro tipo sullo stesso argomento. Si mette in fine di frase o periodo e, se indica uno stacco netto con la frase successiva, dopo il punto si va a capo. Il punto è impiegato anche alla fine delle abbreviazioni (ing., dott.) ed eventualmente al centro di parole contratte (f.lli, gent.mo), ricordando che in una frase che si concluda con una parola abbreviata non si ripete il punto (presero carte, giornali, lettere ecc. Non presero i libri).

accenti

ACCENTI

Nella lingua italiana l’accento viene segnato solo:

Nelle parole polisillabe quando:

a) l’accento cade sull’ultima sillaba (parole tronche): ad esempio, virtù, bontà;

b) quando varia il significato della parola, secondo la sillaba su cui cade l’accento: esempio àncora, ancóra; bàlia, balìa;

c) quando varia il significato della parola secondo che l’accento sia grave o acuto: ad esempio, fóro (buco), fòro (piazza); ésca (nutrimento), èsca (imperativo del verbo uscire), ecc.

Nelle parole monosillabe quando:

a) quando terminano in dittongo e potrebbero sembrare due sillabe: ciò, può, già, più, ecc. Però qui, qua non si accentano mai, poiché la u è parte integrale del suono della q;

b) quando si debbano distinguere da altri: ché (perché) diverso da che congiunzione; dà (verbo) diverso da da preposizione; là (avverbio) da la articolo; ecc.

coerenza

COERENZA

Le storie che scriviamo devono parlare di qualcosa. Anche se può sembrare difficile individuare un argomento preciso, dovrai chiederti: “Di cosa parla la mia storia?” Una volta che sarai riuscito a risponderti alla domanda, sarà più facile eliminare ciò che è superfluo. Questo aiuterà il tuo racconto a mantenere la giusta dose di coerenza e a non perdere di vista i valori ed i concetti morali che stanno alla base delle azioni dei tuoi personaggi.

personaggi

PERSONAGGI

Il pubblico ha bisogno di sentirsi coinvolto in prima persona nelle vicende emotive dei protagonisti: appassionali, non lasciarli indifferenti! Rileggi i tuoi libri preferiti e studia come fanno gli autori a coinvolgerti con quanto accade ai personaggi: noterai lo spazio che viene dedicato ai loro pensieri, alle loro debolezze e alle emozioni in generale…

Inoltre cerca di caratterizzare in maniera diversa ognuno di essi, non solo attraverso il modo di pensare e di comportarsi, ma anche attraverso i dialoghi, così che il lettore possa capire più velocemente chi sta parlando.

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